Crescono le patologie metaboliche

dolore addominale libera da Pixabay
Cambia in Italia lo scenario delle malattie del fegato, diminuiscono i casi di epatite mentre crescono quelli di steatoepatite non alcolica.


Sassari 12 giugno 2019 - Pubblichiamo con piacere l'articolo scritto dal dottor Franco Bandiera e di recente (11 giugno 2019) pubblicato nell'inserto La tua salute de La Nuova Sardegna.

di Francesco Bandiera
direttore della UOC di Medicina interna

Cambia in Italia l’epidemiologia delle malattie del fegato. In riduzione i casi di epatite C mentre cresce, complice l’allungamento della vita media e degli stili di vita inadeguati, la steatoepatite non alcolica, chiamata dai medici con l’acronimo inglese di NASH. È quanto è emerso nella VII edizione del Congresso di Epato-Gastroenterologia, che si è svolto ad Alghero il 23 e 24 maggio scorso, organizzato da Medicina interna e Gastroenterologia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari.

La steatosi epatica non alcolica colpisce il 25% della popolazione italiana e il 70-80% dei diabetici e delle persone obese. Non risparmia l’età pediatrica colpita da un crescente incremento del sovrappeso. Oggi è nel mondo occidentale l’epatopatia più frequente e a tutti gli effetti possiamo considerarla l’epidemia del terzo millennio. Abbraccia un ampio spettro di patologia che va dal semplice accumulo di grasso all’interno del fegato, alla steatoepatite quando il grasso si infiamma, alla cirrosi e può complicarsi con il tumore maligno, l’epatocarcinoma.

La diagnosi presuppone un consumo settimanale di alcol inferiore a 30 gr alla settimana. Il classico bicchiere di vino contiene circa 12 gr. di alcol. E’ causata da una predisposizione genetica che sviluppa un processo di resistenza all’insulina prodotta dal pancreas, il principale ormone del metabolismo. Questa predisposizione consente lo sviluppo della malattia quando si associa ad alterati stili di vita, dieta ricca di grassi saturi, carboidrati e ad una ridotta attività fisica. È peraltro una malattia che non si limita al fegato perché induce un aumentato rischio di malattie cardiovascolari come infarto ed ictus, renali e tumorali. Numerosi centri di ricerca sono impegnati nello sviluppo di test non invasivi per la diagnosi e nella sperimentazione di farmaci in grado di impedire la formazione di fibrosi, il tessuto sclerotico che conduce alla cirrosi epatica o quantomeno ne rallentano l’evoluzione.

Uno stile di vita corretto e salutare rappresenta il cardine della terapia. È necessario seguire una dieta che conduca gradualmente alla normalizzazione del peso corporeo, riducendo i grassi di origine animale, i carboidrati in particolare il fruttosio di cui sono ricchi cibi e bevande molto utilizzate dai ragazzi. L’esercizio fisico, personalizzato per il singolo individuo, deve essere di tipo aerobico, durare almeno un ora e svolto tre volte la settimana. Anche se a breve avremo nuovi farmaci in grado di rallentare o prevenire la progressione del danno epatico non vi è alcun dubbio che soltanto la diffusione di corretti stili di vita può impedire che l’impatto sociale ed economico di questa patologia sia insostenibile per i sistemi sanitari nazionali.

Lo scenario delle malattie epatiche è cambiato in maniera determinante anche grazie ai nuovi farmaci per la cura dell’epatite C che eradicano definitivamente il virus dal fegato e fanno guarire l’epatite nel 96% dei casi. Il successo ottenuto è stato talmente importante da ritenere possibile l’eliminazione globale dell’epatite C in futuro. A tal fine L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha elaborato un piano di intervento che se dovesse raggiungere l’obiettivo ridurrà entro il 2030, nel mondo, i nuovi casi del 90% (dagli attuali 1.750.000 a 171.000) e il numero di morti per complicanze dell’epatite del 65% (da 400.000 a 140.000).

Il Global Health Sector Strategy for Viral Hepatitis elaborato dall’OMS è molto ambizioso perché varia notevolmente nel mondo la prevalenza generale dell’infezione, delle classi dove il rischio è maggiore e l’accesso per motivi economici alle nuove cure. In Sardegna, a partire dal 2015, sono state trattate circa 7000 persone colpite dalla malattia ottenendo la guarigione nel 96% dei casi. Un risultato mai raggiunto finora nella cura di una malattia cronica.